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Loredana Bertè svela un aneddoto su Adriano Panatta: “Non voleva far salire Renato Zero in auto”

Loredana Bertè - Foto: Facebook

Loredana Bertè ha svelato un aneddoto su Adriano Panatta a MagBook (giornalibro) di agosto edito da ReWriters. Il tema è il Queer e la curatela è a firma dei due artisti in drag più noti d’Italia, i KarmaB. La celebre, amatissima e seguitissima rockstar italiana ha parlato di diritti lgbtqi+ e ha ricordato gli anni ’70 e ’80.

Loredana Bertè – Foto: Facebook

La famosa star musicale ha rivelato: “Ai miei tempi, oltre a non esserci nessun riconoscimento in quanto comunità, di persone vere, in carne e ossa come tutti gli altri, anche solo il simpatizzare per un non-eterosessuale o con qualcuno fuori dalla “norma” non era visto di buon occhio, per usare un eufemismo. Anche tra ragazzi, a parte nell’ambiente artistico, c’era una sorta di ghettizzazione, di repulsione verso ciò che non era uguale, omologato. Ricordo una volta, ero con Panatta, verso gli inizi degli anni 70, dovevamo andare a prendere Renato (Zero, ndr) in macchina e quando Adriano lo vide, vestito con un costume attillato e boa di piume di struzzo, tutto truccato e con i capelli lunghi, non voleva farlo salire in auto con noi. Non ho mai capito il perché. Io, da eterna outsider, mi sono sempre trovata meglio con le persone fuori da certi schemi, con altri outsider come me”.

E poi ancora: !”Per me diversità, è sempre stata sinonimo di originalità, di unicità. La cosiddetta normalità, dopo un po’ mi annoiava. Ancora oggi, io stessa, non posso di certo essere considerata una normale signora di 70 anni. Io da sempre mi considero una persona diversa e aperta, ma non aperta come quelle che dicono ho tanti amici gay, aperta nel senso del vivi e lascia vivere: l’amore per me dovrebbe essere una cosa universale. L’amore, quello vero, spazia dentro e fuori dai confini imposti dalla società,. Va un po’ dove gli pare, non lo puoi inscatolare in una confezione come, ad esempio, la famiglia tradizionale. Io sono cresciuta in una famiglia etero tradizionale, eppure di amore non se ne respirava un briciolo”.

Ha poi continuato: “Esistono tante sfumature, tanti modi di sentire, di essere, di amare, di voler esprimersi… io stessa sono stata tante persone, nel corso dei miei secoli, un po’ come l’Orlando di Virginia Woolf. E ne ho anche viste e fatte tante… Alla luce di quanto ho vissuto, vi posso assicurare che la comunità, Lgbtq+ proprio una minoranza non è. Da sempre… non lo è. Purtroppo in Italia vigeva e vige ancora questo retaggio bacchettone e ipocrita per cui le cose si fanno ma non si dicono… Quando invece bisognerebbe sempre battersi per la propria libertà, e per quella degli altri: vivi e lascia vivere, continuo a ripetere. Vivila tua propria libertà, e fa sì che anche per gli altri possa essere lo stesso. Ora, non vorrei essere banale ma, il mio migliore amico, Leonardo Pastore, gay dichiarato nonché uno dei bracci destri di Fiorucci, l’ho perso perché si è ammalato”.

Per poi sottolineare: “A metà degli anni 80 andammo in ospedale a Parigi da Luc Montagnier. Allora nessuno conosceva l’Hiv, c’era tanta ignoranza e si pensava che il contagio potesse avvenire anche solo stringendo la mano, che fosse la malattia degli omosessuali, addirittura: l’omosessualità, in sé era considerata una malattia ed era fonte a sua volta di un’altra malattia ancora. Leonardo morì poco dopo, l’ho assistito fino alla fine, lavandogli anche i vestiti e le lenzuola sporchi… ancora oggi porto con orgoglio appuntato sui miei abiti il fiocco rosso simbolo della lotta contro l’Hiv. Tanto per non dimenticare”.

E poi ancora: “Negli anni ’80 ho frequentato assiduamente la discoteca No Ties di Milano, per gusto e per divertimento (così come tanti centri sociali, come il Leoncavallo). E negli anni 2000 si può dire che abbia fatto più serate in locali Lgbtq+ che concerti canonici: erano anni duri e volevo sentirmi a casa. In fondo anche io sono sempre stata una non-binaria”.